Come nelle edizioni precedenti, la WCSJ2015 ha offerto una grande varietà di temi e spunti interessanti. Impossibile seguirli tutti, dunque ho focalizzato la mia attenzione su un filo conduttore: la rivoluzione del giornalismo nell’era digitale e dei social network.

L’argomento è stato analizzato con grande lucidità dal Premio Pulitzer Dan Fagin. Nell’era digitale, ha osservato Fagin, non è più necessario pagare per accedere alle notizie, alle informazioni. Si ha la percezione che tutto accada in diretta e sia direttamente leggibile senza la necessità dell’opera di intermediazione del giornalista. Immagini, video, commenti e racconti di testimoni e protagonisti di qualunque evento sono immediatamente disponibili a chiunque, dal produttore al consumatore. Il lavoro del giornalista è stato svalutato e tanti professionisti hanno perso il lavoro.

Ma il giornalista non è un semplice intermediario. Il suo compito primario è verificare la realtà dei fatti. Venuto meno questo filtro, in rete sta dilagando la propaganda a spese dell’informazione seria. Chiunque può alzare la voce, fabbricare la propria bolla di realtà fittizia, propagandarla e raccogliere consensi acritici. Si stanno creando così dei piani paralleli: movimenti di persone che condividono la stessa opinione considerandola un fatto e che non dialogano con chi manifesta un’opinione differente. Vengono meno la capacità di confronto e la condivisione delle informazioni, veri collanti della società.

È necessario, secondo Fagin, far sì che lo spirito del giornalismo superi la crisi e si riaffermi, anche se in modi e forme differenti rispetto al passato. La figura tradizionale del giornalista della carta stampata perde colpi, ma le nuove tecnologie offrono strumenti formidabili per svolgere un ottimo lavoro. La convergenza di testo, fotografia, audio, video, gestione dei dati, geolocalizzazione, social network sta già producendo una nuova generazione di giornalisti con competenze multiple.

E di nuovi strumenti si è parlato estesamente durante la WCSJ2015. La collega sudafricana Mandi Smallhorne ha coordinato una sessione dedicata alle nuove tecnologie per la raccolta e la condivisione dei dati, dai droni alle app per accedere agevolmente a informazioni utili sul territorio, per un nuovo giornalismo di servizio iperlocale. “I nostri utenti vogliono conoscenze da utilizzare nella vita di tutti i giorni”, ha detto. “Per esempio, se si verifica un incidente e una falda acquifera viene contaminata, vogliono sapere quali pozzi sono coinvolti e quali sono sicuri”.

Nella sessione intitolata “Let me draw that for you”, i disegnatori e divulgatori Bruno van Wayenburg ed Emily Elert hanno spiegato come si realizza, passo dopo passo, una animazione grafica per illustrare una notizia scientifica, dal copione allo storyboard, dai disegni a mano alla lavorazione con i più diffusi programmi di video editing.

Dalle immagini alla voce, Deborah-Fay Ndlovu ha coordinato una sessione sul podcast, uno strumento che negli Stati Uniti sta attraversando una stagione di grande successo, grazie alla diffusione degli smartphone e alla possibilità di ascoltare file audio in automobile o in metropolitana, per sfruttare i tempi morti durante gli spostamenti quotidiani. Il podcast non è solo un’estensione del giornalismo radiofonico. File audio opportunamente progettati possono arricchire una pagina web e renderne la forma più coinvolgente, in nome della convergenza dei media.

C’è poi il capitolo dei social network, affrontato dal canadese André Picard e colleghi. Un tempo il giornalista scriveva per il suo pubblico, oggi grazie ai social network scrive per ciascuno dei suoi lettori, con cui può interagire direttamente. Discute di ciò che ha scritto, risponde a critiche, suggerimenti. Il rapporto con i lettori è stato rivoluzionato. Facebook, Twitter, Google+, Instagram e decine di altre piazze più o meno frequentate servono ad autopromuoversi, a coltivare il rapporto col pubblico, a mantenere i contatti con le fonti e gli esperti, a orecchiare le tendenze e gli interessi del momento. Oggi le notizie circolano e si diffondono attraverso le reti sociali più di quanto sia possibile attraverso le testate giornalistiche online. Sono, probabilmente, il futuro del giornalismosul web.

C’è una domanda a cui nessuno è riuscito a dare una risposta chiara e concreta nel corso della WCSJ2015: come si fa a guadagnare nell’era digitale? Da chi viene pagato il giornalista che cura un blog, che produce video e li posta su YouTube, che scrive per i social network sfruttando la varietà di nuovi formidabili strumenti? Se le testate tradizionali chiudono e la rete non paga, di cosa vive il divulgatore nell’era della convergenza digitale?

Maria Cristina Valsecchi