Il 28 novembre del 1846 il granduca di Toscana Leopoldo II, della dinastia lorenese, emana finalmente il motu proprio che fa rinascere la “Scuola Normale con Convitto, e destinata a formare i Professori e i Maestri delle Scuole secondarie”. Il granduca la mette sotto il patronato dell’ordine cavalleresco di Santo Stefano: quello distintosi nel Cinquecento alla battaglia di Lepanto, pietra miliare della resistenza all’avanzata islamica che minacciava l’Europa. La sede è da allora nella piazza dei Cavalieri, nel palazzo accanto alla chiesa dell’ordine.
È proprio lì dentro che la Normale e l’U.G.I.S. hanno dato vita nel 1997 e nel 2000 a due convegni di successo dedicati alla comunicazione scientifica, sotto il titolo “Scienza e pubblico”. Ma quanta ricchezza di cultura in tutto il tempo che ha preceduto — e seguìto — quei due eventi!
Il Presidente Giorgio Napolitano durante il suo intervento alla cerimonia celebrativa del bicentenario della fondazione della Scuola Normale Superiore
Dopo l’avvento del regno d’Italia, nel 1862 il convitto torna a essere un’istituzione dello stato, sotto la guida dello storico Pasquale Villari. Poi fu direttore per moltissimo tempo Enrico Betti, patriarca dell’illustre scuola matematica pisana. L’eccellenza dell’insegnamento e degli allievi s’afferma in tutti i settori: un poeta normalista (così si chiamano i giovani ammessi al convitto) vincerà poi, nel 1906, il premio Nobel per la letteratura. Si tratta di quel Giosuè Carducci che tutti hanno incontrato nelle antologie scolastiche, sebbene negli ultimi decenni l’intellettualismo moderno l’abbia alquanto declassato, privando i giovani della possibilità di conoscere capolavori di sentimento e di musicalità come Davanti San Guido, Traversando la Maremma toscana o Jauffré Rudel.
Il Presidente Giorgio Napolitano con il neo-rettore di Pisa Massimo Augello in occasione della cerimonia celebrativa del bicentenario della fondazione della Scuola Normale Superiore
Altri due Nobel, stavolta per la fisica, escono dalla fucina di piazza dei cavalieri: Enrico Fermi, premiato nel 1938, e Carlo Rubbia, Nobel nel 1984. E inoltre alla Normale lega il proprio nome una lunga serie di personaggi celebri: per citarne solo pochi, Giovanni Gentile, Luigi Russo, Alessandro Faedo (padre dell’informatica italiana), due allievi poi divenuti presidenti della repubblica (Giovanni Gronchi e Carlo Azeglio Ciampi).
Ci sarebbe insomma da meravigliarsi di quell’aggettivo normale scelto per il nome di questa scuola d’eccellenza, se non avessimo già detto che la sua funzione originaria è quella di formare insegnanti, e quindi d’impartire le norme, i fondamenti del sapere.
Quando però l’umorismo semplice e schietto era diffuso nel popolo, oggi rovinato dalle velleità dei “cinepanettoni” e dalle insulsaggini dei varietà televisivi, a Pisa le battute scherzose su quel nome ricorrevano a tutt’andare, in forza d’una pronuncia ambigua: “la Normale” o “l’anormale”? E in effetti fra gli allievi della Normale, accanto a giovani bravissimi e sensati, futuri professionisti di vaglia o studiosi eccelsi, ce n’è sempre stato — e ce n’è tuttora — qualcuno che alla genialità accoppia qualche comportamento capace d’alimentare lo stereotipo dello scienziato strambo e un po’ tocco. Il che naturalmente non scalfisce il valore degli studi che pongono la Normale alla pari dei più celebri centri di studi del pianeta.
Il Presidente Giorgio Napolitano con il Prof. Salvatore Settis, durante la visita alla Mostra “Una storia normale” in occasione della cerimonia celebrativa del bicentenario della fondazione della Scuola Normale Superiore