Intervista di Camilla Rumi a Cesare A. Protettì. Direttore professionale del Master in Giornalismo dell’Università LUMSA e socio UGIS. Protettì è membro, dalla sua istituzione, del Comitato di Direzione di Media Duemila. E’ stato redattore delle riviste Test e Scienza Duemila, ha collaborato al servizio scientifico dell’Ansa e con le pagine di Scienza dell’Espresso. E’ autore di una dozzina di saggi tra i quali La giostra multimediale 2.0 e Bit e parole. Ha collaborato inoltre all’opera Dalla selce al silicio, Storia dei mass media di Giovanni Giovannini, tradotto in nove lingue, con diverse edizioni.

L’informazione scientifica ha subìto nel nostro Paese profondi cambiamenti negli ultimi anni, soprattutto grazie alla nascita di siti e blog sul tema, nonché all’azione dei social network. Quali sono, secondo lei, le principali novità che si registrano in questo settore e, nel contempo, le principali criticità?
Farei una netta distinzione tra la nascita di siti e blog sul tema e l’azione dei social networks. Cominciamo dai primi. Negli ultimi anni un numero sempre maggiore di fonti accreditate ha deciso di affacciarsi al web e fare divulgazione a diversi livelli. Parlo di siti di Associazioni e Fondazioni, di Musei della scienza e di Festival della Scienza, sempre più popolari nel nostro paese. Queste fonti hanno registrato una crescita dei giudizi positivi sulla propria autorevolezza negli ultimi due anni (Annuario Scienza e Società 2012 e 2013). Sono anche cresciuti i siti professionali, non necessariamente per addetti ai lavori, come siti e blog di ricercatori, di Istituti di ricerca e Università che vogliono fare divulgazione scientifica ad alto livello, confrontandosi con la comunità scientifica internazionale. Ma parlo anche di iniziative di grandi agenzie di stampa internazionali, come l’ANSA, che ha deciso di aprire un Canale Scienza, gratuito, ricco di notizie affidabili e arricchito da elementi informativi che oggi è possibile ottenere grazie alle nuove tecnologie di trasmissione veloce di dati e immagini, anche in mobilità. Un esempio è la collaborazione con l’Ugis e i suoi giornalisti scientifici. Molto spesso le notizie e i reportage su eventi scientifici sono integrati da interviste in diretta streaming con i protagonisti dell’incontro e gli scienziati coinvolti.
Tutt’altro è il discorso da fare, almeno in Italia, sul rapporto informazione scientifica e social networks. Facebook, Twitter e altri SN sono ottimi strumenti per la condivisione e la partecipazione ad incontri scientifici sul territorio (gli italiani sono i più assidui frequentatori in Europa di Festival, manifestazioni ed incontri pubblici sulla scienza). Tuttavia è anche vero che sui Social Network la scienza fa fatica a diventare o a restare notizia e si trasforma a volte in sdegno e rabbia (come nel caso della multa da 180 milioni di euro alle multinazionali Roche e Novartis per il farmaco contro la maculopatia oculare) a volte in barzelletta come nel caso della celebre gaffe del portavoce dell’ex Ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini sul “tunnel dei neutrini” dal Cern al Gran Sasso o tutte le volte che Crozza fa qualche rivisitazione a suo modo di qualche puntata di Voyager. Oppure sfocia nello sdegno e nella rabbia.
Infine un discorso a parte va fatto sulle criticità. Mi pare evidente che i danni maggiori possono essere fatti dall’informazione medica veicolata da siti e blog non attendibili e dai Social Networks. Le cito solo alcuni dati: una ricerca della Hon, la Health on The Net Foundation mette in luce che, in tutto il mondo, Internet è al secondo posto dopo il medico nella classifica sul reperimento di informazioni mediche. Ben l’80% degli italiani cerca informazioni mediche in rete: il che di per sé non sarebbe un danno se non pretendessero spesso di fare diagnosi e cura da soli.
Tuttavia i social network possono essere anche un passa-parola formidabile per l’informazione scientifica, a cominciare dalla condivisione e la partecipazione ad incontri scientifici sul territorio. E forse un è un caso che noi italiani siamo più assidui frequentatori in Europa di manifestazioni ed incontri pubblici sulla scienza.

Secondo l’Annuario Scienza e Società, curato dall’Associazione Observa Science in Society, lo spazio dedicato dai media italiani ai contenuti di carattere scientifico è in grande aumento. Quali sono, a suo parere, le ragioni che hanno portato ad una crescente fruizione di tali contenuti, soprattutto nelle fasce di età più giovani?
Sono dati che andrebbero analizzati nel dettaglio perché per la carta stampata, per esempio, non mi pare ci siano stati cambiamenti importanti negli ultimi anni. La pagina di Scienza è sparita da quasi tutti i quotidiani ormai da tempo, sostituita in qualche caso, da un inserto-testata multitematico (vedi Nova del Sole 24 ore). E gli articoli con le firme dei pochi giornalisti scientifici rimasti in organico nelle grandi testate (i prepensionamenti hanno colpito pure loro) sono diventati sempre più rari. Ci sono però molti articoli che riguardano l’ambiente, la salute, la tecnologia. In questi settori i giornali e la televisione rincorrono il web, sul quale effettivamente c’è stata una fioritura di blog e siti. I dati dell’Annuario Scienza e Società curato dall’associazione Observa Science in Society, dicono che il web sembra favorire la fruizione di contenuti a carattere scientifico, soprattutto nelle fasce di età più giovani: tra i 15 e i 29 anni. Si tratta – secondo me – di contenuti spesso legati alla tecnologia, della quale – come dicono le statistiche (e le vendite di smartphone)– gli italiani sono avidi consumatori anche in tempo di crisi.
L’annuario ci dice che un navigatore su due si espone con continuità a contenuti scientifici. Ma quanto e come – dovremmo chiederci – arriva al destinatario di questa produzione massiva? Rimane infatti molto problematico il rapporto tra cittadini, scienza e giornalismo scientifico: molti lettori lamentano difficoltà di comprensione. E questo è certamente dovuto a una minor cura (e tempo dedicato, per esempio, a “tradurre” i comunicati di enti, aziende, istituzioni) di chi scrive, ma anche a forti ritardi culturali di chi legge. Il dato italiano sull’analfabetismo scientifico rimane incredibilmente alto, con un italiano su due che è convinto che il Sole sia un pianeta. Le classifiche dell’Eurobarometro sull’interesse per la ricerca nel nostro paese non sono certo lusinghiere e vedono l’Italia navigare sempre verso il basso. Eppure siamo stati la patria di Archimede siracusano, di Galileo Galilei, di Volta, di Galvani, di Marconi, di Enrico Fermi, di premi Nobel come Natta e Rubbia per venire a tempi più recenti.

Alcuni recenti casi di cronaca hanno messo in luce i limiti del sistema mediale nel trattare questioni relative a fondamentali tematiche quali il clima, l’energia, la bioetica, la salute globale. Quale ruolo dovrebbe occupare, secondo lei, l’informazione scientifica nel percorso formativo di un aspirante giornalista?
Dovrebbe essere molto importante. Ma così non è. Nessun giornale cerca figure specializzate nella divulgazione scientifica da mettere in organico, anche se – a prescindere dal suo utilizzo nel settore di competenza – il giornalista scientifico, secondo me, ha nel DNA della sua formazione i geni fondamentali dell’accuratezza, della verifica, del controllo e della capacità di rendere semplici le cose complesse. Io ho cominciato la mia carriera professionale come collaboratore scientifico all’Ansa e il mio capo di allora, il compianto Pino Cultrera, mi diceva che un collaboratore del servizio scientifico non aveva grandi possibilità di farsi notare rispetto ai suoi colleghi del politico, dell’economico, del sindacale o degli esteri. Poi mi mandarono a seguire la conferenza stampa del medico di Enrico Berlinguer all’indomani della morte del segretario del PCI. Il direttore, Sergio Lepri, lesse il mio articolo, gli piacque (“preciso e drammatico, anche senza usare aggettivi) e il giorno dopo mi assunse. Ma è un’eccezione che scalfisce appena la regola.
Faccio qualche altro esempio: nelle Commissioni d’esame per l’iscrizione all’Albo professionale dei Giornalisti ci sono magistrati, cronisti, giornalisti esperti di politica e di sindacato, ma non giornalisti scientifici. E questo è forse abbastanza normale. Ma in più l’insegnamento del giornalismo scientifico non è richiesto dall’Ordine ed è lasciata all’autonomia delle Scuole la possibilità di inserirlo eventualmente. Noi, alla Lumsa, lo facciamo da un paio d’anni, utilizzando l’esperienza di alcuni colleghi dell’UGIS.
Forse qualcosa cambierà nel prossimo futuro. E’ in preparazione, presso il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, il nuovo “Quadro di indirizzi” per le Scuole di Giornalismo che prevede una riscrittura integrale dell’art. 16 con cinque nuovi Raggruppamenti disciplinari di base. Nel raggruppamento B (Fondamenti culturali dell’informazione) è ora richiesto fornire ai ragazzi che si avviano alla professione “Elementi di diritto ambientale, con particolare riferimento ai temi della Salute, delle fonti energetiche e dello sviluppo sostenibile”. Secondo me è già un passo importante. Inoltre nel nuovo quadro di indirizzi – come è stato preannunciato in una recente riunione a Roma delle 11 Scuole di Giornalismo italiane riconosciute dall’Ordine – sarà probabilmente aggiunto un importante articolo 16 bis (Indirizzi Specialistici) in base al quale le Scuole possono sottoporre all’approvazione vincolante del Consiglio Nazionale percorsi specialisti disciplinari da svolgere nell’ultimo semestre del biennio. Noi (ne stiamo discutendo con il prof. Gennaro Iasevoli, direttore scientifico del Master) ne attiveremo probabilmente due e uno di questi dovrebbe essere proprio quello del giornalismo scientifico.
Io credo fermamente nel ruolo sociale del giornalismo, anche nella diffusione di un giornalismo non partigiano che permetta al lettore di avere, nel tempo, tutti gli elementi che servono per farsi un’opinione consapevole su questi grandi temi che coinvolgono la vita di tutti e le decisioni per le scelte di crescita del paese. Troppo spesso siamo andati a votare su referendum fondamentali in questa direzione (per esempio il nucleare) sotto l’onda dell’emotività di campagne urlate e per nulla meditate e nelle quali c’è stato scarsissimo spazio per l’informazione scientifica indipendente.

L’informazione scientifica nel nostro Paese viene spesso veicolata da giornalisti non iscritti all’Albo. Ritiene auspicabile la nascita di una figura specializzata, in grado di applicare correttamente la deontologia professionale?
Le figure specializzate esistono. Ci sono circa 200 giornalisti scientifici iscritti alle due associazioni indipendenti (UGIS e SWIM), entrambe con sede a Milano, che rappresentano l’Italia all’interno dell’EUSJA (European Union of Science Journalists Association) fondata nel 1971 e presieduta per diversi anni dagli italiani Giancarlo Masini e Paola De Paoli.
La più antica è l’UGIS (Unione Giornalisti Italiani Scientifici), attualmente presieduta dal giornalista del Corriere della Sera, Giovanni Caprara, fondata nel 1966 con lo scopo statutario di stimolare la divulgazione scientifica in Italia attraverso ogni genere di media favorendo con diverse iniziative l’aggiornamento professionale dei suoi scoi, giornalisti regolarmente iscritti all’Ordine, professionalmente impegnati nell’ambito dell’informazione scientifica attraverso quotidiani, periodici, radio e televisioni, pubblicazioni on-line.
L’altra è la SWIM (Science Writers in Milan), nata nel 2010 e presieduta da Fabio Turone, molto attiva in campo internazionale e sul web.
Certo, le Scuole di giornalismo potrebbero contribuire ad alimentare questi serbatoi di competenze, formando giovani colleghi preparati, anche deontologicamente, proprio attraverso i semestri degli indirizzi specialistici. E nulla vieta di pensare che le Scuole possano, con lo stesso strumento, mettersi al servizio di colleghi, professionisti o pubblicisti, che vogliano arricchire la propria professionalità o riposizionarsi sul mercato del lavoro con nuove competenze.

Da una ricerca condotta dall’Unione Europea è emerso come i comunicatori di area scientifica selezionino le notizie da trattare secondo i seguenti criteri: rilevanza per la vita quotidiana, novità, comprensibilità, prossimità geografica, nessi con la politica, aspetti controversi, originalità. Concorda pienamente con i suddetti criteri o ritiene che siano stati tralasciati dei parametri importanti, in considerazione del ruolo ricoperto dall’informazione scientifica, in particolar modo di carattere medico, per la società civile?
Sono esattamente (per il 90%) i requisiti per la notiziabilità descritti in tutti i manuali di formazione al giornalismo e non vedo perché proprio il giornalista scientifico dovrebbe sottrarsi a queste regole basilari. In più c’è forse quella menzione del criterio degli “aspetti controversi” che è abbastanza caratterizzante e che crea a volte frizioni con i depositari nel mondo della scienza delle diverse “verità”. E forse su questo aspetto bisognerebbe lavorare. Ricordo che da entrambe le Associazioni dei giornalisti scientifici (UGIS e SWIM) si cerca un dialogo costante con il mondo delle istituzioni scientifiche e accademiche e sale la richiesta di riconoscere al giornalista specializzato un ruolo paritario, di “professional equal”. Questi principi sono stati per esempio sottolineati nella “Dichiarazione di Erice” sulla farmacovigilanza, promossa da un gran numero di istituzioni
internazionali, che invita gli scienziati a confrontarsi alla pari sui temi della comunicazione con chi parte da un’ottica differente.

Le iniziative avviate sul piano della formazione dalle istituzioni scientifiche ed accademiche, nonché dagli organi di categoria, non sono state spesso sorrette da strategie di lungo respiro. Quali potrebbero essere, a suo parere, le politiche realmente utili a creare una sinergia tra scienziati, medici e mezzi di comunicazione per meglio valorizzare e promuovere nel prossimo futuro l’informazione e la divulgazione scientifica nel nostro Paese?
Domanda difficile, soprattutto in questo Paese, che sembra non avere nel suo DNA le strategie di lungo termine. Ma questo non accade solo in Italia. A livello internazionale, negli ultimi anni sono state avviate numerose iniziative formative che non sono mai diventate stabili. E’ accaduto anche nel caso dell’ottimo progetto EICOS , the European Initiative for Communicators of Science. Forse si potrebbe cominciare seguendo la soluzione già adottata con successo in alcuni paesi: istituire uno Science Media Centre che fornisca assistenza puntuale ai giornalisti. Questi Centri forniscono monografie, schede, dati statistici, bibliografie su molte tematiche, ma anche contatti diretti con esperti e scienziati. E ricordiamoci sempre che nel campo della formazione c’è la risorsa delle Scuole di giornalismo attraverso le quali si potrebbero creare sinergie non episodiche con le
istituzioni scientifiche. A beneficio di tutti.