di Bartolomeo Buscema
Dopo il flop della Conferenza delle parti (COP15) di Copenhagen, che ha partorito il “Copenhagen Accord”, un accordo volontario nel quale i Paesi industrializzati hanno assunto precisi impegni, la conferenza mondiale di Cancun sembra avere come obiettivo primario quello di evitare un nuovo flop che condurrebbe quasi inevitabilmente a un abbandono del modello ONU della contrattazione globale.
Le premesse non sono certo confortanti, come pure deboli sono le promesse che Obama ha fatto a Copenhagen e che, a causa di una palese ostilità del Congresso americano, difficilmente manterrà. Per non parlare delle posizioni tiepide di Cina e India che come noto sono tra i maggiori emettitori di anidride carbonica del mondo.
Nel piano d’azione di Bali del 2007, molti Paesi hanno deciso di sviluppare un’azione comune a lungo termine che va oltre il 2012, quando il primo periodo di impegno del Protocollo di Kyoto finirà. Punto cruciale del suddetto piano d’azione è la riduzione delle emissioni di CO2 basate sul principio della “responsabilità comune ma differenziata”,per cui ciascuna Nazione condivide il comune obiettivo di affrontare efficacemente i cambiamenti climatici, ma con differenti gradi di responsabilità legate alle proprie emissioni, alle diverse condizioni socio-economiche, alla capacità tecnologica e finanziaria.
Il testo dell’Accordo seppure con un ritardo di un anno e con qualche parentesi graffa, dovuta ancora a un non coerente unisono tra i negoziatori, è pronto per essere discusso a Cancun. Il successo delle negoziazioni dipenderà in larga misura dalla risoluzione delle controversie tra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo .Tali differenti punti di vista si possono condensare in quattro temi chiave : mitigazione e adattamento; finanziamenti per il contrasto al riscaldamento globale, trasferimento di tecnologie; deforestazione e degrado delle foreste .
1.Mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici.
Mentre sono sufficientemente chiare le azioni per limitare o mitigare il riscaldamento globale, le azioni di adattamento rimangono ancora insolute specialmente intorno a chi deve fare che cosa e per chi. Un primo punto concerne la definizione di ‘vulnerabilità’. Alcuni paesi sostengono che le nazioni più vulnerabili sono quelle evidenziate nel “Bali Action Plan”, vale a dire i Paesi meno sviluppati (PMS), le piccole isole in via di sviluppo (SIDS) e i Paesi africani. Ma altri pensano che dovrebbe trattarsi di tutti i paesi in via di sviluppo anche quelli con crescita economica sostenuta tra cui la Cina, l’India e il Brasile. La definizione di vulnerabilità non è un fatto lessicale ma sostanziale perché sta alla base delle priorità di finanziamento.
Nonostante l’Accordo di Copenhagen stabilisse una “equilibrata assegnazione di fondi tra adattamento e mitigazione, una recente analisi circa gli impegni attuali mostra che solo 4,5 miliardi di dollari, cioè il 15,9% dei fondi disponibili sarà destinato alle azioni di adattamento. Un palese squilibrio che penalizza i paesi poveri. Non a caso le piccole isole in via di sviluppo (SIDS) hanno proposto un meccanismo internazionale per fornire la necessaria compensazione finanziaria per fronteggiare i danni causati sia da eventi meteorologici estremi come i cicloni sia quelli a lenta insorgenza, quali l’aumento del livello del mare. Senza un congruo aiuto proveniente dalla comunità internazionale,il prezzo da pagare, nel caso si verificassero tali eventi, potrebbe essere insostenibile. Nel 2008, il ciclone Nargis ha ucciso più di 138.000 persone in Myanmar e ha provocato un danno di circa quattro miliardi di dollari pari a circa il 30 per cento del Prodotto Interno Lordo.
2.Finanziamenti per il contrasto al riscaldamento globale
È chiaro che il mondo sviluppato ha la responsabilità di aiutare le nazioni più povere soprattutto quelli più vulnerabili ai cambiamenti climatici . Ma restano molti problemi sul tappeto tra cui la necessità di creare un fondo globale per il clima e mettere fuoco meccanismi nuovi di finanziamento, anche sulla base di quelli proposte recentemente dal Gruppo Consultivo di alto livello (High Level Advisory Group) del Segretario Generale dell’ONU.
A Cancun bisognerà formalmente definire gli impegni presi per il taglio delle emissioni nell’ambito dell’Accordo di Copenhagen.Non solo. Bisognerà ancora definire i meccanismi di misurazione,rendicontazione e verifica (MRV) dei fondi concessi ai Paese in via di sviluppo per la riduzione dei propri livelli di emissione. Tutto ciò sottende un controllo periodico sull’impiego dei fondi che irrita, purtroppo, diversi Stati che sono molto resistenti ai controlli internazionali. E poi c’è il dilemma sollevato da alcuni: conviene destinare i fondi ai Paesi poveri o a quelli che hanno un’economia emergente con sensibili tassi di crescita?
3.Trasferimento di tecnologie
Se l’accesso ai fondi è importante per un successo contro il riscaldamento globale, è anche importante adottare soluzioni tecnologiche mirate alle realtà locali dei Paesi in via di sviluppo. Le traiettorie da seguire sono state abbastanza definite dagli accordi di Marrakesh del 2001, poi riprese dal Piano di azione di Bali del 2007.
Attualmente il testo elaborato per i negoziati di Cancun prevede un meccanismo di trasferimento della tecnologia gestito da un comitato esecutivo all’interno del CTNC (Climate Technology Centre and Network) . che dovrebbe indicare le più appropriate tecnologie di miglioramento ambientale. Purtroppo ci sono ancora alcuni punti dolenti nei negoziati, particolarmente intorno alle modalità operative del CTNC :non si capisce bene se deve operare all’interno o all’esterno dell’ UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change).
C’è poi il problema dei brevetti. Molte nazioni industrializzate auspicano che i Paesi emergenti promulghino leggi chiare sui brevetti per una sicura trasferibilità delle tecnologie. Invece, le nazioni in via di sviluppo non vedono di buon occhio il rischio di costi elevati delle licenze che potrebbero frenare le necessarie azioni di adattamento.
4.Deforestazione e degrado delle foreste
Il testo di partenza del REDD (Riduzione delle Emissioni causate da Deforestazione e Degrado forestale) è a buon punto per quanto concerne gli obiettivi tecnici. A Cancun, tale testo dovrà essere corredato da un quadro economico coerente per l’istituzione di efficaci sistemi nazionali che garantiranno che sia avviata la protezione delle popolazioni indigene, la preservazione della biodiversità, e che le cause della deforestazione siano affrontate congiuntamente dai paesi industrializzati e da quelli in via di sviluppo.
Un buon segnale ci viene da Norvegia e Francia che hanno avviato la “REDD+ partnership”, un’iniziativa che ha già mobilitato 4,5 miliardi di $ USA per arrestare il processo di perdita delle foreste tropicali comprese quelle del Messico.